Diario sporco di una vita slabbrata

non so quando la vita abbia iniziato a slabbrarsi. so solo che oggi comincia il conto alla rovescia.

sedici anni, la scuola. le mura dell’ultima autenticità. un sogno e la sua prepotenza, la morbidezza dei pensieri che si srotolano lucidi, sapere cosa si vuole diventare.

i professori ti hanno ripetuto che devi lasciare un solco così grande che tutti quelli che passano di là se ne accorgono e non possono fare a meno di meravigliarsene. a partire dalle elementari hai imparato a cucirti addosso l’imperativo di lasciare traccia, e adesso è tutto quello che sei – non la traccia ma l’imperativo – ciò in cui la gente ti riconosce. e tu lo vuoi, vuoi essere per gli altri quel solco, ma che sia utile. che chi passa di là non solo se ne accorge, ma vi trova un ponte per guadare uno stagno, una ragione per continuare a vivere meglio.

sei chiusa in casa e devi studiare per l’interrogazione di latino di domani. il professore è uno degli uomini che ami di più, sai cosa si aspetta da te, sai che tu puoi darglielo e vuoi farlo. nella cameretta di quando sei bambina la luce delle tre del pomeriggio diventa materiale e, per invitarti a toccarla, ti si mostra piena di pulviscolo. è tutto pesante e tu apri il balcone prendendo un libro in mano. ti guardi intorno dal quarto piano: la campagna appena fuori dalla città, i palazzi dei tuoi vicini di casa, dall’altra parte invece il cortile del palazzo di fronte dove vivono i tuoi vecchi amici, quelli con cui giocavi quando eri piccola e che chiamavi ‘i bambini dell’altro cortile’. scivoli lungo la parete del balcone e ti siedi a terra col viso alla cameretta, per non dimenticare il libro di latino sulla scrivania. apri Il gabbiano.

quando l’hai finito hai gli occhi pieni di sogno, il cuore leggero, l’anima riposata. sono passate tre ore e rientri alla scrivania. c’è uno come te con cui non smetti di parlare, il tuo compagno di sogni e mai di banco. anche lui sarà interrogato domani e sicuramente vi ritroverete da parti opposte della cattedra a discutere di quegli autori latini nell’ansia di un voto che non si abbassa mai. capita raramente che siate interrogati insieme e questo è uno di quei giorni. una volta seduti vi scambiate brevi sguardi che si chiedono cosa ne hai pensato del gabbiano, che fai oggi pomeriggio, la conosci vedi cara di guccini?

alla fine dell’interrogazione chiedi al prof com’è andato l’approfondimento della divina commedia che gli hai consegnato la settimana scorsa. lui ti risponde molto bene e che te lo riporterà domani con una lettura che ti potrebbe interessare. tu vorresti sapere subito di che si tratta, vorresti dirglielo, ma dici solo va bene grazie. vorresti anche essere come uno degli altri prof che alla ricreazione prende con lui il caffè e parla di qualcosa che li fa ridere. tu vorresti continuare a parlare di dante, di tutte quelle assurdità meravigliose, del perché la letteratura e come fa a non rivoluzionarti la vita, come si fa ad andare avanti, chi era davvero cavalcanti e che cosa mi consiglia di umberto eco, se fosse possibile parlarne solo io e lei… ma in fondo ti basterebbe anche essere solo uno dei tuoi compagni con cui il prof scherza guardandoli negli occhi e con un braccio intorno alle spalle, parlando di calcio.

tante cose vorrebbe quella sedicenne dalla vita non ancora slabbrata, piena di terra fresca, non annegata nel mare ipertrofico della perfezione.

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