si sono vissute troppe vite. se ne continuano a cercare per vedere quante cose uno può essere. c’è stata una vita dei sedici anni nel paese siciliano di provincia, c’è stata la vita della prima personalità matura fuori da casa, dei diciotto anni a Bologna, c’è stata la vita dei vent’anni negli anni venti a Parigi, la vita della bellezza, dell’apertura alla meraviglia e la prima scoperta di quello che si ama davvero. la vita della prima pandemia della nostra vita a Pisa, vita della non-vita nel confinamento. la vita adulta del lavoro a scuola, del trasmettere una qualche forma di un qualche sapere a dei bambini fragilissimi. la vita dall’altra parte del mondo e del ritorno al vestito di studente, all’eterna dimostrazione del tuo valore, la vita che tutti vedono come un sogno, essere pagata per fare ‘quello che vuoi’ – studiare? – in una città come New York. adesso spostarsi da una di queste città all’altra è diventato come girovagare di stanza in stanza in casa tua. stanze che sono tutte diversamente camera tua. e che non impressionano più, anche quando ci torni dopo molti anni, conservano il senso di familiarità della vita che vi hai lasciato dentro.
ogni scendo dalla metro a Times Square, per via di un cambio con un’altra linea o perché è l’uscita obbligata per arrivare dove devo arrivare, ma mai per scelta. scendo dal vagone, salgo le scale verso una delle innumerevoli uscite e arrivo nell’agone centrale dove si diramano vie in tutte le direzioni verso la quindicina di linee che si connettono in questa stazione. si direbbe che tutta manhattan si distenda su times square a giudicare da quanto lontano ti puoi trovare a seconda che tu esca all’incrocio tra 6th Ave e W53rd St – praticamente al MoMA – o alla 9th Ave e W40th St, Midtown West. Da fuori poi sembra di stare sul bordo di un buco nero, spazio e tempo si annullano e puoi passare ore a vagare tra la folla in cerca dell’ingresso della stazione che per magia nera sembra inghiottito nel nulla.
arrivo in quel grande spiazzo e una giungla umana mi travolge, non posso esitare nel passo un secondo senza creare un domino di tamponamenti. devo anche essere perfettamente attenta a tutte le indicazioni e sapere subito dove devo andare, aprendomi la strada tra i corpi in un agile slalom. poi mi accorgo che la giungla umana va a ritmo di bonghi africani suonati da un gruppo di quattro ragazzi allegri appoggiati a una parete dello spiazzo. guardano la fiumana e suonano la sua frenesia.
uno potrebbe pensare che queste stazioni della metro, voglio dire quelle del cuore del centro del mondo – un certo mondo -, siano belle esteticamente, o almeno qualche parte di me lo pensava, l’aveva dato per scontato, fate voi. invece queste stazioni non fanno proprio nulla per essere quello che non sono. sono autenticamente e fino in fondo un insieme di ferraglia sporca su cui corrono treni fatti di vagoni legati insieme da nere corde di gomma e altra ferraglia di catene. vagoni da cui escono testoline di uomini e donne conducenti o controllanti che guardano sempre a destra e a sinistra dal loro angusto finestrino, qualche volta guardano anche te mentre il vagone se li porta via e fanno sempre molta simpatia. sono la parte viva del treno ma anche cartone animato, uomini e donne che non immagini rispondere a una domanda se provassi a rivolgere loro la parola. qualche volta torni a casa molto tardi e molto stanca la sera e li vedi sorriderti dalla loro postazione mentre il treno è già ripartito e in quei momenti pensi che ne avevi proprio bisogno.
ad ogni modo queste stazioni sono fino in fondo loro stesse, nessun abbellimento, quasi nessun cartello turistico, niente colori, niente di niente. sopra le scale mobili c’è a volte un cartello elettronico dalle scritte colorate che invita gentilmente a non sedersi sui gradini o sul corrimano. ci sono anche simpatici volantini che ti avvisano che in quella stazione si impiegano prodotti rodenticidi per uccidere topolini la cui silhouette è rappresentata nel volantino stesso. molto spesso vedi secchi sotto tetti gocciolanti in aree circondate col nastro a strisce rosse e bianche formare quadratini di spazio in cui non si può passare. altre volte invece, la notte, vedi addetti alle pulizie svuotare sul pavimento secchi di candeggina qui e lì.
molte altre cose meno simpatiche si vedono in queste stazioni, e ancora di più se ne vedono sui treni che vi passano attraverso. un uomo dormire semicoperto nella stazione di Times Square proprio sotto l’enorme cartellone pubblicitario dell’ultimo modello di Iphone che replica l’enormità nello slogan che recita: “Iphone 14, big and bigger” impresso sull’immagine di un uomo e una donna che reggono in mano un telefono di proporzioni spaventose rispetto alle loro. su un vagone invece un uomo steso su tre sedili della linea 1 che dalla punta di Manhattan arriva nel Bronx e coperto da un lenzuolo come un corpo morto. attorno a lui nessuno lo guarda e tutti sono automi disumani del loro tragitto, un signore seduto di fronte a lui legge il giornale.
c’è una cosa che però puoi vedere solo viaggiando in metro e che è uno dei fenomeni che più amo vedere in questa città. capita ogni tanto, ma abbastanza spesso, che due treni stiano viaggiando vicini verso la stessa stazione o in direzione opposta, uno uscendovi e l’altro entrandovi. in quel momento non sembrano esistere separazioni tra i binari dei due treni, nessun’impalcatura che ne protegga verticalmente i tragitti. i treni sembrano così affiancarsi e viaggiare insieme di modo che dall’interno del tuo treno puoi vedere avvicinarsi l’altro che lo accosta gradualmente ma a velocità crescente, facendosi sempre più vicino e apparendoti sempre più grande, come se stesse per mangiare il tuo di treno, scontrandolo e inglobandolo in sé. se poi c’è una piccola discesa lungo la traiettoria, vedi l’altro treno delicatamente scendere verso il tuo e puoi scorgere attraverso i finestrini in cui è impresso in arancione il nome della linea, i suoi ospiti in modo perfetto e così bello che avresti voglia di salutarli. i due treni sono poi soliti competere in velocità in maniera molto divertente, e così puoi vedere il tuo superare l’altro che lo aveva affiancato o, viceversa, vedere quest’ultimo e i suoi passeggeri lasciarsi alle spalle te, il tuo vagone e tutto il tuo treno. fin quando però non recupera e il gioco ricomincia fino all’entrata in stazione in cui ricompaiono i pilastri di ferro tra un binario e l’altro e la magia svanisce.

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