Felicemente

Stanca, ma ieri in un supermercato del quartiere greco ho trovato le olive nere che hanno lo stesso sapore di quelle siciliane, che strano sentire un sapore di casa in un posto lontano da casa, un senso di familiarità accogliente e straniante. Tutte quelle piccolissime cose, mi piace soprattutto quando la realtà di fuori mi smonta una sensazione su cui mi sto ostinando e su cui voglio continuare a ostinarmi, per esempio sto camminando solo pensando a quanto sono stanca quanto non vedo l’ora di fermarmi un attimo di staccare da tutto – cose del genere e se chiunque mi dicesse ma no dai pensa che eccetera io sarei consapevole che devo anche pensare ad altro ma voglio stare dentro quella sensazione voglio ostinarmi a esaurirla a portarla alla massima esasperazione e poi sfilarmela di dosso ma a volte succede una cosa molto più bella – di fuori mi precipitano addosso dolcissimamente dei frammenti di realtà che mi sottraggono a quella sensazione che voglio tenermi stretta e mi fanno uscire dall’involucro inespugnabile dell’interiorità senza che me ne accorga, senza farlo apposta.

Come quando sto camminando con quei pensieri di pesantezza e fatica e neanche mi accorgo di essere fuori New York, su un viale alberato deserto, molto silenzioso dove passano pochissime macchine di rado e le persone sembrano tutte serene, prendere le cose con calma e per quello che sono, possibilmente col sorriso se incrociano il tuo sguardo, cammino senza badare a tutto questo ed è una giornata di sole meraviglioso con poco vento che a un tratto attraversa intensamente la chioma dell’albero sotto cui sto passando e lascia cadere uno stormo di foglioline gialle, piccole leggerissime cadono in continuazione avvolgendosi su se stesse, formano una scia nel cielo duratura per vari secondi, coriandoli naturali, una festa discreta e il vento che le sta accompagnando per terra fremendo ha un suono incantato, piccole e gialle qualcuna di loro mi cade addosso sulla testa sulle spalle poi scivola via e io le ho guardate tutto il tempo – la loro scia ascoltando quel suono seguendo gli avvolgimenti, giallo su azzurro, azzurro su giallo, e intanto qualche macchina passa lenta sul viale, le solleva da terra con le ruote e dà loro l’ultimo giro di danze – in tutto questo guardandole ho sorriso senza nessuna ragione, solo di questo, senza che potessi impedirlo, senza che me ne accorgessi, senza volerlo, ho pensato – che strano ero stanca ero triste e abbattuta e mi viene da sorridere in un modo che non riesco a impedire, che strano sorridere alle foglie, che strano che sorridiamo sempre alle parole o ai visi degli altri, molte volte per finta, pensando di farlo e a volte invece succede per caso, come se il sorriso te lo disegnassero sulla faccia ancor prima che tu lo voglia.

Altre piccole cose molto belle mi strappano felicemente a me stessa – il gruppo di coristi che alla fermata di 34th street stava nell’angolo musicale armonizzando vocalizzi a cappella tutti signori e signore vecchiette con delle maglie colorate e lo sguardo rigidamente fisso sugli spartiti che tenevano in mano, seguendo – per magia senza guardarlo – il direttore altrettanto vecchietto e dagli abiti colorati che dirigeva con gesti ampi e lenti tenendo in mano una bacchetta tremolante davanti al suo leggio. Costanti e sicuri in mezzo al delirio circostante di gente che va gente che viene, non molto pubblico attorno a loro come quando in quell’angolo si canta il pop, il rock, elettronica ma – senza poterne vedere gli occhi – molti rivolgono loro uno sguardo, seppur affrettando il passo.

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