Sopraffazione

dalle note del telefono scritte in aeroporto il 24 gennaio ’24

Per ogni partenza è sempre così mi sento sopraffatta dalle sensazioni più varie belle tristi strane non so dove mettermi dentro di me mi sento estremamente così non ho pace non so dove stare in che sentimento riposare Aeroporti di Roma vi augura buon viaggio mi sento piena mi sento come se questo fosse il posto più bello al mondo la vita più bella che potessi sperimentare questo aeroporto questo luogo tra i luoghi a metà del non essere nessuno di essi e di essere un po’ tutti loro tutti insieme tutto il mondo in queste vetrate da cui entra la luce di tutti i cieli per travolgerti.

Carica, forte, grata, mi sento triste sento tutte le cose che sto lasciando che resteranno solo un poco più opache durante questi mesi per andare a illuminare le altre che avevo lasciate sopite in questi mesi. Sento la stanza di casa dove ho studiato tutti i giorni tutto il giorno il tavolo di vetro e la tovaglia natalizia le piante di mia madre e i suoi quadri le tende il divano e le coperte la TV il tavolo della cucina il balcone dei vicini la luce delle 3 di pomeriggio in Sicilia. Le arance i dolci della domenica e i carciofi tutto tutto ogni cosa le chiacchiere mai mangiate così prima di Carnevale i mondi dei ricordi che si aprono al loro odore di fritto e zucchero a velo, alla loro consistenza e al loro sapore. Ricordi al sapore di chiacchiere, fa ridere.

Sento addosso tutti i visi dei miei amici le pieghe dei loro occhi e dei loro sorrisi l’odore delle loro stanze le voci romane ieri mentre mi mettevo a dormire perdendo tutto il sonno che avevo avuto fino a un secondo prima di spegnere la luce nel letto diviso con C. pensavo a quanto sia assurdo assurdissimo come i mondi reclamino inespugnabilmente la loro identità come siano chiusi impenetrabili gli uni agli altri eppure con così tante vie sotterranee così tanti cunicoli che li collegano tutti dai più lontani ai più vicini ma come essi stessi siano delle fortezze delle torri solidissime anche se comunicabili c’è qualcosa di irriducibile dell’identità di ognuno di loro che non può non vuole comunicarsi. Vorrei dire bene quello che voglio dire.

Voglio dire che il viso di G. il mondo in cui parla delle cose il modo in cui si vive la realtà in Sicilia in cui la gente esiste in quel mondo e da quel mondo nel mondo intero i modi le parole le voci le inflessioni gli sguardi la maniera di prendere le cose di leggere il reale ogni sfumatura di tutto quello che uno è e di tutto quello che fa di tutti i modi di relazione con le cose e le persone con le situazioni eccetera eccetera non è solo diverso è un codice criptato leggibile ma irriducibile impenetrabile nel profondo nella comprensione del suo significante puro non del suo significato comunicabile.

Così a Roma così a Parigi o a New York così ovunque. E nella comunicazione tra questi mondi, alcuni dei quali così vicini, mi fa sorridere la maniera che la loro superficie ha di accartocciarsi nel compiacimento di chi percepisce il modo di vivere ragionare parlare siciliano come caratteristico o riducibile a un tratto tipico, a qualcosa di imitabile a qualcosa che “loro fanno dicono pensano così” “lì funziona così” mi fa sorridere lo stesso da parte dei siciliani sui romani o degli americani sugli italiani degli italiani sugli americani sui francesi e così via. Mi fa sorridere che si guardi agli altri mondi con benevolenza con condiscendenza in una maniera di ridurli a qualcosa di comprensibile di più familiare, è normale. Un modo di superficializzarli. Guardarli dall’alto in basso ma non con disprezzo o superiorità, dall’alto della razionalizzazione del renderli qualcosa di intellegibile di romperne spezzarne il mistero folle irrazionale spaventoso brillante oscuro in qualcosa di manovrabile.

Qualcosa che non sopraffà.
Ma la sopraffazione dei mondi è inevitabile.

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