Al limone

7 luglio ’24

Stamattina incontrato delle persone che fanno parte di un mio passato molto lontano non solo cronologicamente ma intimamente. Era una di quelle occasioni in cui ci si trova nello stesso luogo a fare cose diverse ma per lo stesso motivo e ci si guarda senza salutarsi. In quel momento mi chiedo se è perché quelle persone non mi riconoscono, non si ricordano chi io sia o semplicemente mi hanno visto e hanno scelto che non mi avrebbero salutato per qualche ragione – il che sarebbe anche comprensibile. Con quelle persone, stamattina avevo assunto che non ci stessimo salutando perché non si ricordavano chi sono.

Avevamo passato insieme tanti anni. Io ero una bambina, poi un’adolescente. Tutte le domeniche e poi anche durante la settimana ci radunavamo per cercare un po’ di spirito, per darsi da fare, per lucidare un bisogno interiore opacizzato dalla quotidianità, c’era da incensare l’elevazione del bene che puoi fare a un altro che ti sta vicino, c’era da innamorarsi dei sorrisi giovani di chi ti faceva ridere con una frase stupida inaspettata. C’era un mondo tutto confinato ad una via, i gelati presi insieme seduti su una panchina. C’erano rossi portici in mattone e bianche vesti in cui ci si muoveva come in una pelle condivisa. Si cantava per uscire fuori da sé, ci si ritrovava con uno sguardo capendo immediatamente cosa voleva dire. C’era soprattutto il suo profumo al limone, non ho mai saputo ritrovarlo, ma sempre mentre stavo vicino a lui cercavo di respirarlo il più possibile per ricordarlo quando sarei tornata a casa. Così forte che funzionava. Lui poi si allontanava saliva su un piedistallo era in grado di parlare a tutti e di aprire le menti da una serratura piccolissima di cui nessuno sapeva che lui aveva la chiave. Apriva poco poco con delicatezza per farti sbirciare solo quanto lo avresti voluto tu. C’erano così tante cose.

Pensavo fosse normale che quelle persone non si ricordassero del nostro passato. Tanti anni sono trascorsi e ora a raccoglierci era un luogo diverso. Tra questi pensieri sto per uscire quando uno di loro mi si avvicina in fretta sorridendo “ciao come stai?” io lo guardo incredula quasi facendo per presentarmi ma lui mi anticipa “mi ricordo quando eri con noi, quanti anni sono passati?” me lo dice con una dolcezza spontanea a cui a poco a poco mi abbandono e parliamo di quella vita di là quella vita con loro e insieme nominiamo tutti gli altri “ti senti ancora con” e “invece con” parliamo così fin quando non si avvicina anche L. che mi stringe la mano accarezzandola. Loro si ricordano tutto mi accolgono come non me ne fossi mai andata come stessimo aprendo una porta su quel passato vissuto insieme ancora perfettamente intatto in noi come fossimo ancora tutti là e la vita di questi dieci anni non fosse mai venuta a rompere gli argini di quella semplicità che non conosceva altro.

“Abbiamo segnato un pezzo di storia bellissima che adesso non esiste più” mi dice. Le rughe del suo viso i suoi occhi vispi e le mani grandi mi sembra non abbiano subito il minimo mutamento, gli stessi di sempre. Così per i capelli di Lu per i suoi movimenti fluidi, i suoi occhi adulti ma di una purezza infantile.

Stamattina hanno abbattuto la mia chiusura insicura con uno sguardo, una stretta di mano che ci riconnetteva a un altrove recuperato nel campo dei nostri ricordi dove ci eravamo appena incontrati per farci ancora una passeggiata insieme. Stamattina mi hanno insegnato che non sono gli altri ad essersi allontanati da me perché me ne sono andata, ma che l’allontanamento era spesso nella mia testa, a tal punto da diventare in alcuni casi reale per causa mia.

“Quando torni a casa è qui che torni” mi ha detto Lu.
“C’è un senso di appartenenza” abbiamo detto insieme senza volerlo.

Appartenenza e accoglienza di chi quando torna è sempre a casa,
mi dicevano loro senza saperlo.

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