Più che conoscere o – peggio ancora – capire il mistero, riceverlo.
Stare nell’ombra di ciò che non è rivelato – pensare che non sia rivelabile. Credere ancora nell’irriducibile.
Il mondo non ci offre più nulla che sia irriducibile, che sia quindi sacro. Puoi vivisezionare la realtà quando vuoi come vuoi. Te la spezzano le notizie, le storie di Instagram, la scienza, gli aeroporti, l’intelligenza artificiale, l’analisi logica, le app per conoscere le stelle nel cielo – amo singolarmente almeno la metà di queste cose.
Quando, nel mio quotidiano, mi sembra di essere esposta al sacro? Che davvero è qualcosa a cui puoi essere solo “esposta” puoi solo sentire di essere sotto il suo influsso, di essere “in presenza” del sacro, non capire cosa sia o di cosa sia “composto” – quanta dissonanza tra il sacro e la scomposizione di qualcosa.
Succede delle volte. Mi succede nei mezzi di trasporto per qualche ragione da non ricercare, nei mezzi sotterranei, nello scendere al di sotto della placca naturale dove camminano le persone e arrivare in quella dove camminano le persone perché altri ce l’hanno costruita. Nelle riproduzioni sottostanti della realtà di sopra. Senza luce senza finestre, dentro scatole metalliche dove umani siedono gli uni di fronte agli altri senza parlarsi senza guardarsi. Non c’è nessun’altra circostanza in cui due siedono di fronte – o accanto, spalla contro spalla – per non parlarsi. A me piace studiarli. Gli umani che il caso deposita davanti ai miei occhi. Non li studio, li osservo, e se questo fosse un film sarebbe una soggettiva sui loro capelli, i loro occhi, le sopracciglia e ogni dettaglio del loro viso. A volte gioco ad acchiappare il loro sguardo per poi sottrarre il mio, e continuare così fin quando la stranezza non è interrotta dalla discesa dal vagone dell’uno o dell’altro.
Sacro mi pare ogni tanto una certa luce che si crea nel cielo, nell’intorno temporale del tramonto prima del crepuscolo. Come quella che c’era l’altro giorno, verso le sei e non sapevo (!) spiegarmi (!) dove mi trovassi con un cielo così. E le persone in giro sembravano tutte dello stesso villaggio, tutte amministrare un ruolo prescritto e comunitario attorno a me attorno a loro stesse, camminavano guardandosi tra loro, ascoltando canzoni di sconosciuti agli angoli di marciapiedi, tutte comunicando senza parlare, tutte in una discesa dello spirito santo in lingue di fuoco che erano però lingue strisce piani di luce e una torre di babele in cui ognuno pur parlando la propria lingua si comunicava, abitava un caos armonico e organico. E i profili dei palazzi sembrano esser stati tagliati perché li toccassi e non riuscivo non riuscivo proprio a non guardarli a non percepire il magnetismo di quelle linee, della loro sacralità contro quel cielo rosa arancione giallo azzurro senza sfumature senza striature tutto in uno stesso colore.
Sono sacre certe cose scritte da qualcuno sui muri o per terra come cantano simon and garfunkel the words of the prophets are written on the subway walls o qualche parola che ti viene detta fuori dal suo contesto, senza che tu ne capisca il significato immediatamente ma che ti suona come fosse l’unica cosa da dire in quel momento con un affondo tagliente.
Sacra è l’energia di una persona che non-sta-da-nessun-altra-parte. Dico l’energia, una vibrazione che si trasmette e che può esistere ancora solo ed esclusivamente in presenza di quell’essere umano. Questa cosa mi arriva così preziosa in un tempo in cui siamo dappertutto in ogni momento e la riproduzione fittizia di noi stessi abita lo spazio e il tempo indefinitamente e siamo nelle foto nei video nei nostri profili social siamo nelle chiamate nei messaggi nelle parole e nei pensieri nei ricordi ma è solo la tua presenza fisica di fronte a un altro umano che materializza la tua sostanza energetica così come la sua e ce la si scambia continuamente senza farci caso.
Sacri sono i sogni che si fanno di notte. Che bello vivere ancora in un’epoca dove non si sa cosa siano – e chissà com’era vivere prima di Freud. Sacro scoprire un gesto particolare di un altro che ha solo lui, sacro scoprire che a volte ne riproduci alcuni delle persone che ti sono molto vicine o che hai osservato a lungo. Sacra è la musica, è riconoscere una canzone e non riuscire a ricordarsi come si chiama – di quel riconoscimento che non è conoscenza, perché più prezioso. Si può riconoscere qualcuno, qualcosa, una parola, un pensiero, una musica senza averla saputa mai. C’è qualcosa di sacro in un obliquità di certi occhi o nella capacità dello sguardo di dire tutto anche quello che non sai, sacro è ancora il tuo corpo parlarti di cosa senti cosa vivi e di cosa hai paura e cosa desideri senza che tu glielo chieda – con imposizione.
Tutto questo non conoscerlo, non penetrarlo, restarne al di qua, riceverlo in controluce.

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